venerdì 13 dicembre 2013

Elogio dei regni immaginari

"Nel mondo disgraziatamente reale in cui ci muoviamo, che per ventura buona talvolta desidera provare il gusto della ribellione nei confronti delle leggi a cui viene costretto da una pletora di saperi spesso piuttosto arroganti e prescrittivi, esistono anche degli oggetti che di per sé fanno fatica a essere incasellati, repressi nella quiete della stasi, definitivamente compresi e spiegati, secondo la versione che si scelga, ossia posti all’interno di una o più celle dell’enorme matrice illuminista che abbiamo predisposto per addomesticare le cose. Oggetti che, forse, nascono proprio per sollevare polvere, per mettere confusione tra gli scaffali della nostra grande biblioteca, ovvero quell’assetata matrice di cui si è appena detto. Il castello del conte di Lautréamont, quell’immaginifica costruzione a cui si accede leggendo I canti di Maldoror e ciò che di quest’opera è stato detto e scritto, sgomentevole labirinto sospeso a mezz’aria su una landa di bruma, è uno di questi oggetti. E numerosi sono stati gli interpreti di siffatto castello, gli esploratori che vi si sono avventurati allo scopo di renderne una legittima ed esauriente cartografia: alcuni illustri, altri un po’ meno. Tutti hanno contribuito a strutturarne stanze ingannevoli, passaggi nascosti, corridoi ciechi e anse mendaci. Tutti hanno provato a concepire e quindi intagliare mensole adatte a sopportare adeguatamente il peso del libro di Lautréamont, ossia, in un modo o nell’altro, a definire le categorie di una serie le cui unità siano esaustive e, sarebbe preferibile, mutualmente esclusive; esattamente il contrario di quanto avviene nell’«Emporio celeste di conoscimenti benevoli». Ma quel mostro furente e multiforme che è I canti di Maldoror, a circa centocinquanta anni dal suo primo concepimento ferino, unione incestuosa tra una femmina di squalo e un sovrano apolide, consanguineo di pidocchi e mignatte, scalpita ancora, si ribella alle catene impostegli, sferra calci al contempo tentacolari, cartilaginei e anche ungulati, frantumando quella matrice dell’ordine che più o meno vanamente tenta di imprigionarlo, somigliando tra l’altro sempre di più alla ferrea sostanza delle grate di una prigione e dei cancelli della cattività.
È di questa ribellione che Fernando Butazzoni, nel libro appena concluso, ci ha parlato, elencando con pertinenza e gusto soggettivo (mai si può fare altrimenti), con foga per nulla dissimulata e con ironia (mai si dovrebbe fare altrimenti), con divertimento e talvolta anche con ammirazione, alcuni dei tentativi messi in opera da un ampio insieme di impiegati catastali alle prese con l’oscuro castello dell’incomprensibile conte di Lautréamont, del giovane franco-uruguaiano Isidore Ducasse e del sanguinosamente ambiguo Maldoror, trinità alla rovescia nient’affatto celestiale. Butazzoni, dalla sua piattaforma individuale di scrittore e lettore piuttosto che di critico di professione (cosa di cui egli stesso non fa nascondimento), con la sua indole da pacato avventuriero piuttosto che da maldestro turista, con la sua voglia di sentire gli stranieri parlare piuttosto che di insegnare loro la propria lingua, prova così a disfarsi delle guide a buon mercato e del cappello a falda larga per passeggiare tra le mura, le torri e le segrete della fortezza: per farsi inghiottire, grosso modo, dal labirinto che esse rappresentano e costantemente riproducono. E sembra proprio che abbia voluto farlo in opposizione a quella logica turistica che, in altri casi, ha guidato la visita di altri ospiti del maniero.
La lettura dell’opera di Lautréamont è un’impresa che può approssimarsi essenzialmente a due possibilità: utilizzare i saperi arroganti che concedono e ammettono soltanto gli spazi e l’interpretazione da loro stessi generati e predisposti per l’ordinamento delle cose del mondo, oppure farsene beffa scherzosa (con la dovuta avvertenza che, in questo genere di cose, la beffa e lo scherzo non sono mai faccende di natura goliardica e faceta, tutt’altro; sono piuttosto rifondative, palingenetiche, volendo eccedere in elegiaci sensazionalismi). Nel suo Elogio dei regni immaginari Fernando Butazzoni decide di imboccare esattamente la seconda delle due strade, e le sue riflessioni sul castello del conte di Lautréamont, ancora una volta, non fanno alcun mistero di questa intenzione basilare".

Tratto da Contro la domesticazione di Livio Santoro. 

Elogio dei regni immaginari di Fernando Butazzoni, ultimo volume della collana La battaglia dei libri diretta da Loris Tassi e Roberto Colonna, è disponibile sul sito di Edizioni Arcoiris all'indirizzo http://www.edizioniarcoiris.it/index.php?id_product=182&controller=product