[…] Il lavoro
sull’abito hollywoodiano è estremamente interessante ed è affrontato con cura
dall’autrice. Viene messa in evidenza l’attenta sinergia e cooperazione che, a
partire dai primi anni Trenta, si verificava tra costume designer, studio
cinematografico e quel comparto chiamato Modern Merchandising Bureau (come ci
spiega Gaia Stella Sangiovanni, la catena di grandi magazzini Macy’s, ad
esempio, confezionava in serie abiti apparsi sul grande schermo).
La
stratificazione delle competenze che abbiamo di fronte quando guardiamo alla
moda e al cinema complica, dal punto di vista di organizzazione economica e di
marketing, le modalità di circolazione e la creazione di tendenze. La
ricostruzione storica va affrontata recuperando i primi magazine che facevano
riferimento agli abiti portati in scena, al powder
puff e altri tipi di strategie che arrivano fino ai giorni nostri, in cui
la concezione dell’unione tra cinema e moda è veramente molto profonda. Come
ci ricorda l’autrice, già Vogue nel 1932 intitolava un suo editoriale Does Hollywood Create? Il suggerimento
iniziale di Diana Vreeland secondo cui l’abito non è niente in sé ma si carica
della storia che può raccontare, diventa il propulsore per una diffusione
vastissima di un sistema di oggetti con una vita propria (dal basco di Ninotchka all’abito di Joan Crawford);
con la grande capacità d’intercettare e anticipare gli stili, i movimenti, i
concetti di brand, la rivoluzione nella rappresentazione femminile. Un lavoro
che ci aiuta a complicare l’esperienza cinematografica, rendendola un’esperienza
da sfogliare.
Dalla Prefazione di Marta Martina
Il libro è reperibile sul sito di Edizioni Arcoiris al link